Call center (Tratto da una storia vera)
Chiamate su chiamate. Voci sconosciute con accenti e cadenze differenti.
Tutta l’Italia e non solo partecipava a quel coro senza volto.
Magari avrebbero potuto essere buoni amici ma tutto si riduceva a qualche sterile frase che ormai veniva ripetuta meccanicamente per confermare l’ordine. Confermare gli ordini.
Aveva imparato a modulare la voce e a cambiare le frasi in base alle persone con cui interagiva.
Non lo avrebbero mai sommerso.
Una semplice analisi della voce. Poteva percepire se una persona era collaborativa, sola, curiosa o semplicemente un rompicoglioni. I rompicoglioni ovviamente abbondavano.
Lui contro i numeri e le voci. Il gestionale gli ricordava la schermata di una slot.
Affamato e determinato. Chirurgico in ogni conversazione.
Ogni numero di telefono corrispondeva ad un’anima rintanata in qualche pertugio.
Lui le scovava lesto e senza alcuna timidezza. Voci ancora appisolate, annoiate, stanche.
Il mattino ha l’oro in bocca. A quell’ora facevi in fretta a sventagliare un poker.
Centinaia di persone ordinavano ogni minuto qualche oggetto che li aveva attratti nella sua ragnatela. Il web stesso era una ragnatela ben congeniata.
L’offerta ammiccante li aveva trascinati in quella spirale di desiderio con un semplice occhiolino.
Qualcosa che ritenevano indispensabile per la loro esistenza o per quella della loro prole.
Perlopiù si trattava di paccottiglia. Loro però ne sentivano la necessità e bisognava ammettere che le grafiche degli sponsor erano davvero accattivanti.
Tutte quelle voci volevano somigliare un po’ di più ai personaggi sorridenti e soddisfatti sul freddo schermo dei loro pc.
Quella mattina Henry stava confermando il suo centesimo ordine.
Un gong immaginario echeggiò nella sua testa. Festa.
Oramai era al giro di boa.
Aveva appena piazzato un paio di parrucche a una tardona sarda.
I sardi erano i più simpatici, insieme ai senegalesi, che per contro non erano certo facili da comprendere e a volte si trovava costretto a sfoggiare l’inglese.
La signora era stata più diffidente del solito.
“Si tratta di capelli veri?”. Domandò altezzosa.
“Sì, come li vuole? Ci sono lunghi, corti e ricci”.
“Io li ho biondi e li vorrei dello stesso colore ma con delle mesch viola. Biondo platino come nel video”.
Forse non si era resa conto che non stava parlando con un coiffeur.
“Ma certo signora, sono esattamente come quelle del sito, poi se vuole può tagliarle, colorarle, fare lo shatush o lo chignon… Non ci sono limiti alla fantasia!”.
“Ma sono capelli veri?”. Classicone. Ormai poteva scommettere sulle domande che gli avrebbero posto.
“Certo signora. L’origine mi è ignota. Se vuole con solo 20€ in più se ne porta a casa due, è molto conveniente ed eventualmente ha trenta giorni per il soddisfatti o rimborsati”.
“Se vuole le lascio il numero dell’assistenza”.
Una voce robotica l’avrebbe aiutata a perdersi in un labirinto di possibilità.
Purtroppo un labirinto senza alcuna via d’uscita.
“Quindi con 60€ totali posso sceglierne una riccia e una liscia?”. Rimpolpò la carampana.
“Certo signora, da noi può scegliere tutto quello vuole”. Esortò soddisfatto petto in fuori per rendere la voce più stentorea.
“Bene, l’altra la vorrei rossa”. “Riccia”.
Per la legge di Murphy scelse l’unico colore che non avevano disponibile.
“Rossi non li abbiamo ma può tranquillamente prendere un castano chiaro e farci la tinta..”.
Finalmente concluse la trattativa e riagganciò con quella voce antipatica e stridula.
Come poteva una persona normale, pensare di acquistare due parrucche di capelli veri a quel prezzo! Per farli crescere non è mica un gioco.
Si meritavano quello che stavano comprando.
Proprio come quelli che acquistano un drone a cento euro quando per uno serio forse non bastano tremila cucuzze.
Troppi soldi nelle tasche sbagliate da spendere impulsivamente in qualcosa di superfluo.
Acquisti impulsivi li chiamavano. Un timer accompagnava l’offerta sancendo le ultime ore a disposizione per accaparrarsi le meraviglie. Così da essere uno dei pochi fortunati.
Perlomeno un po’ più fortunati del solito.
Tic Tac, le persone erano convinte di concludere un piccolo affare e non sarebbe certo stato lui a portargli via quel pensiero confortante. Magari si sarebbero anche immaginati come dei piccoli broker. “Se sono così economiche ne acquisto uno stock e poi le piazzo con facilità”.
Bastava poco per far esaltare una mente.
Lavoravano ed era giusto che si concedessero un bel cuscino massaggiante in coppia con unguento all’arnica e artigli di drago.
Lui era sempre pronto a dare ottimi consigli e ogni volta diventava uno specialista unico nel suo genere.
Era un po’ dietologo, un po’ estetista, un po’ sportivo ma fondamentalmente pilotava le chiamate. Proprio come un fantino fà con il cavallo.
La gente comodamente seduta sul divano aveva ogni desiderio a portata di click, dal tagliaerba in miniatura al gira-sugo elettrico. Lui semplicemente li accontentava.
La pandemia imperversava e la gente non metteva il becco fuori da casa.
Occorreva qualche nuovo orpello per quelle stamberghe grigio smog.
Qualcuno con cui parlare e confrontarsi. A volte confidarsi.
La noia è una brutta bestia.
Lui voleva bene a quelle voci e cercava di trattarle nel modo più amichevole possibile.
Alla fine erano loro che gli davano qualcosina da mangiare.
All’elenco di bazzecole mancavano solo quegli occhiali a raggi X per vedere sotto i vestiti.
Avevano letteralmente spopolato sguazzando nell’ingenuità che presagiva l’inizio degli anni 90’.
Oggi la gente si era fatta furba pensò. O almeno in parte.
Il processo continuava meccanicamente e lui richiamava a tappeto tutti quei maleducati che non avevano risposto alla prima call.
Quì incominciava la parte meno divertente insieme alle cornette chiuse in faccia.
Come un fiume digitale silenzioso e perpetuo. Linea piatta di un elettrocardiogramma seguita da un lungo bip impersonale, quando non partiva un fastidiosissimo fax.
Sempre gli stessi numeri fin quando la percentuale di ordini inevasi scendeva sotto il 3% e all’operatore veniva quasi da vomitare.
Non era per tutti. Molti erano quelli che abbandonavano la scialuppa. Alcuni venivano scoraggiati dallo stipendio e dalla monotonia, altri dai tanti rifiuti sgarbati.
A Lucinda finalmente arrivò il suo pacco. La confezione era accattivante e alla moda.
Aveva pagato con il suo duro lavoro ma sembrava che il corriere si fosse trasformato in Babbo Natale per consegnarle apposta quel dono speciale.
Pagò il contrassegno e volò in casa per dar luce a due terribili parrucche. Molto simili a quelle che vendono per le streghe a carnevale.
A lei stranamente piacevano. Le provò entrambe studiando su quale delle due avrebbe fatto la tinta. I suoi capelli erano forti e soffici come la seta ma aveva un debole per le parrucche.
Indossata la prima sì piacque molto e si adulò come una regina.
Alle 16 aveva la seduta prenotata dalla sua parrucchiera di fiducia.
L’avrebbe tinta di rosso e accorciata sul davanti creando una specie di caschetto. Magari un po’ scalato.
La parrucchiera ne aveva viste di cose strane ma mettere le mani su quella parrucca le sembrava quasi un’insulto.
Non fosse stato per la gioia di Lucinda e per il grano avrebbe sicuramente impiegato meglio il suo tempo.
“Hai visto che meraviglia? Le ho scovate su instagram a un prezzo davvero eccezionale”.
“Sono sicura che riuscirai ad assecondare i miei capricci”. Le due si conoscevano da lungo tempo.
La parrucchiera scoraggiata e più taciturna del solito si mise subito al lavoro sperando che la decolorazione non rovinasse quei fili di simil plastica. Chissà che materiale era. Poteva essere di tutto ma non certo capello vero. Per sua fortuna in quel frangente erano sole dentro al negozio.
Applico la tintura e attesero il risultato in un silenzio tombale.
Timidamente il rosso prese e forma insieme al sorriso di Lucinda che tornò a casa sorridente con la sua nuova acconciatura. La parrucchiera si sentì sollevata.
Lucinda si rimirò nello specchio ovale e notò che mancava ancora qualcosina.
Sarebbe bastato arricciarli un pochino così da dare un tocco vintage a quel lavoro tanto sudato.
Prese la piastra, la collego alla corrente e attese la giusta temperatura.
Quando la passò sulla testa i capelli si sciolsero in un battito di ciglia.
Qualche fiammella sfiammò verso il cielo insieme ai suoi sogni infranti. Qua e là dei buchi maculavano lo spettacolo e in testa gli rimase un casco appiccicoso di poltiglia fumante.
L’unto ustionante gli colò sul viso trasformandola in una buffa maschera di cera.
Qualcuna, in un altro luogo lontano si stava depilando con un rasoio a luce pulsata.
Lo aveva pagato solo una cinquantina di euro ed estirpava i peli senza tagliarli. O Almeno così le avevano detto.
Anche nelle zone più intime senza arrossare la pelle.
Aveva concluso un buon affare trovando il modo di sconfiggere quella peluria infame.
Rasava e rasava fino a quando una delle due lame s’inceppò definitivamente in un ciuffo di peli.
Gli stessi peli della cipolla che Alfred stava affettando a rondelle con il suo nuovo e utilissimo coltello firmato Masterchef.
