Esoteric
Quel mastodontico parallelepipedo di cemento e vetro giaceva da tempo immemore al centro della brughiera.
Completamente anacronistico rispetto al paesaggio circostante, presenziava con arroganza fin dove l’occhio poteva perdersi.
Nei pochi metri che circondavano le ciminiere svettanti e le imponenti mura di mattoni blu faccia a vista in vecchio stile Art & Craft, la terra era brulla e l’erba moribonda cresceva a fatica quasi per discolparsi della vicinanza con quell’ecomostro.
La struttura si ancorava al suolo e pareva un’enorme piovra con le sue grosse tubature vermiformi avvinghiate alle viscere della terra.
Tutt’intorno aleggiava una bruma imperitura, figlia dei grossi comignoli.
Al suo Interno viveva Rail, un vetusto cimelio industriale, che da anni non svolgeva più il compito per il quale era stato progettato e si mescolava con il buio del livello superiore.
Si spostava sulle grosse impalcature che erano state installate per la manutenzione e ormai dimenticate, rannicchiandosi negli anfratti più scuri del freddo cemento.
Non era mai più sceso per paura di venire definitivamente rottamato.
Sotto di lui a ritmo incessante la catena di montaggio produceva senza sosta e neanche i lunghi drappi neri che erano stati fissati sulle gloriose vetrate intimidivano la marcia dei pistoni che pestavano e sbuffavano come dei cavalli impazziti.
Nell’ oscurità era proprio quel gran baccano cadenzato a scandire lo scorrere del tempo.
In Arcadia infatti il tempo era più che altro percepito e i suoi abitanti lo suddividevano in epoche. Nella Prima epoca tutte le creature producevano in armonia un po’ come le note di uno spartito. Nella Seconda e nella Terza epoca, successive ad un tremendo terremoto che aveva sconquassato la struttura fino alle fondamenta, le gerarchie erano state riorganizzate. Era stato creato il livello soprastante che in poco tempo era diventato per lo più abusivo e popolato dai reietti.
La maggior parte delle vetrate si erano infrante, così in parte per necessità e in parte per la paura del mondo esterno, erano state sostituite da grossi drappi neri che avevano fatto calare una notte imperitura.
Fuori pioveva, nevicava, il forte vento ululava spazzando le nuvole e dando posto ad un sole cangiante ma all’interno era solo e sempre buio. Un buio artificiale e produttivo.
Rail non sapeva che cosa veniva assemblato né come si presentava il prodotto finito.
Anche nella prima epoca, in cui prendeva parte al processo e svolgeva con solerzia la sua funzione di ingranaggio, non aveva idea di che cosa andavano confezionando con tanto fervore.
Partecipare senza poi tastare il prodotto finito gli era sempre parso molto frustrante.
Poi erano arrivate le nuove macchine, moderne, scintillanti e gloriose. Per non fare la fine di molti dei suoi compagni era stato costretto a rintanarsi nel secondo livello.
Lì non si stava poi così male. L’aria era tiepida e poteva servirsi di una rete di cunicoli che aveva scavato nella roccia. La muffa cresceva indisturbata e in quel morbido mondo trascorreva nell’ozio le sue giornate. Si spostava attraverso numerose scorciatoie che solo lui conosceva senza mai avvicinarsi al terreno e alle linee di produzione. Conduceva una vita perennemente sospeso dal suolo.
Erano diversi lassù ma si mantenevano a debita distanza e per la paura di essere scoperti conducevano prevalentemente un’esistenza solitaria.
Da qualche tempo si era invaghito di un altro pezzo di latta, figlia di un’epoca ormai passata. Avrebbe voluto fondersi con lei in un unico meccanismo senza doversi preoccupare in continuazione di essere scoperto. Anelava alla tranquillità. Purtroppo, quei dolci pensieri mettevano a repentaglio le loro esistenze, in quel mondo di freddo acciaio dove la prepotenza e il lucro facevano da padrone.
Si accontentava di rimirarla da lontano senza essere scoperto. Era tormentato dai dubbi e spesso ripensava al prodotto ultimo, domandandosi con mesta curiosità che cosa potesse incarnare.
Tanto s’angustiava che un giorno prese la fatidica decisione. In incognito, avrebbe fatto un’incursione nella parte sottostante. Conosceva il pericolo, ma un vicolo solo a lui noto, stretto stretto, creato da secoli di imperterrito sgocciolio, lo avrebbe condotto nell’utero della fabbrica.
Le pareti di quella via erano foderate di muffa che gli permetteva di scivolare nell’angusto pertugio. Non era mai giunto alla fine, ma secondo i suoi calcoli il cunicolo lo avrebbe condotto direttamente nel cuore pulsante dell’attività, diversi metri sotto di lui…
Anche quella notte Marion non era riuscita a riposare.
Ormai da diverse settimane, un sogno ricorrente turbava il suo sonno.
Si trovava da sola in una radura e il freddo gli penetrava fin nel profondo.
Si sentiva triste e sperduta, mentre rimirava un enorme blocco di cemento.
Le vetrate erano state sostituite da grossi teli scuri, così provava a scostarne un lembo per scorgere qualcosa all’interno ma non riusciva a vedere nulla.
Poteva solo ascoltare il rumore di un’attività fervente. Alzava la testolina per notare delle enormi ciminiere fumanti e ad un tratto da una sottile fenditura nei mattoni un ingranaggio gli precipitava addosso svegliandola di soprassalto.
Ogni volta lo stesso sogno e ogni volta lei che si svegliava madida di sudore, ancora tremante per la paura si tastava la fronte.
Aveva provato ad associare la visione a qualcosa di reale ma l’unica memoria che conservava era quella del luogo dove il suo babbo aveva lavorato per una vita intera, prima di lasciare lei e le sue sorelle in seguito ad un grave incidente. Dall’accaduto ormai erano trascorsi lunghi anni, in cui lei non era più stata felice, neanche per un giorno. Nonostante la sua bella dentatura, non aveva mai più sorriso al mondo e con suo padre se n’era andata anche la sua voglia di vivere.
Era come se un grosso macigno gli pesasse sul petto non permettendole di provare sentimenti diversi dal fastidio. Fastidio per la catapecchia in cui trascorreva le noiose giornate. Fastidio per la mancanza di amici e prospettive a lungo termine.
Viveva alla giornata e provava a consolarsi con le sorelle ma queste, ormai grandi, s’interessavano agli uomini e badavano a tutt’altre faccende, praticamente non curandosi di Marion.
Una volta quando era ancora piccolina, si ricordava di aver accompagnato suo padre in quel luogo onirico e se la memoria non la ingannava, avrebbe potuto trovarsi in mezzo ai boschi di querce, in una radura, qualche miglio ad est rispetto alla sua attuale abitazione.
Per cui aveva ricomposto il puzzle dei suoi ricordi ed era motivata per cercare di dare un senso alla sua misera esistenza. Aveva deciso di trovare il luogo che ogni notte popolava i suoi pensieri.
Non sarebbe stato difficile. Aveva fissato nella mente alcuni particolari e le sarebbe bastato seguire il fumo copioso che fuoriusciva dal centro dell’area boschiva…
Quel giorno come ogni altro giorno, la catena di montaggio eseguiva la sua monotona marcia e tra i fischi e le compressioni, sembrava quasi di sentire un treno in corsa, senza sosta e senza una direzione ben precisa.
Rail era stato costretto ad avventurarsi sempre più in su a causa delle frequenti incursioni e quel giorno era di cattivo umore perché non era neanche riuscito a scorgere la sua bella.
Ormai era pronto per la sua missione e fu in quel frangente che decise di scivolare dentro il caldo tunnel.
Si fece trasportare dalla viscosità delle pareti, per piombare al termine del cunicolo in una piccola stanzetta ovale, illuminata a giorno da una moltitudine di ceri che subito infastidirono la sua visuale ormai abituata al buio imperituro.
Perplesso si domandò chi si prendeva cura di quel posto e sostituiva le candele una volta consumate. Queste ricoprivano gran parte dello spazio e il pavimento era ricoperto di cera.
L’unico abitante, se così si poteva definire, era un Cristo di pietra anch’esso ricoperto di muffa. Non aveva mai visto nulla di simile in tutta la sua esistenza ma percepiva un alone di misticismo in quel luogo dimenticato da Dio, per cui accovacciato al suolo decise di esprimere un desiderio…
Dopo un lungo peregrinare finalmente Marion s’incolonno alla scia di fumo e raggiunse il luogo delle sue notti tormentate.
Ogni particolare rispecchiava le sue visioni. Quel luogo era davvero inquietante e trasmetteva un senso di vuoto che cancellava ogni pensiero colorato.
Immancabilmente la fenditura presenziava sopra il suo capo inerme.
Tenutasi a debita distanza, attese intimorita dalle dimensioni di quel colosso fin quando, come da copione, l’ingranaggio fuoriuscì dalla fenditura incastrandosi nel terreno brullo.
Rail mai avrebbe immaginato che dietro al cristo si celasse uno scivolo per l’esterno così quando ispezionò la parte posteriore, si ritrovò catapultato dentro il canale e dopo una tortuosa discesa la luce solare lo aveva abbagliato lasciandolo cieco per diverso tempo. Era giunto al suolo e si era conficcato nel terreno, come una freccia che manca il bersaglio.
Un esserino dalle dolci fattezze lo fissava sbalordita.
“Cosa c’è di strano? Non hai mai visto un ingranaggio?”. Bofonchiò con voce stridula e metallica, che faceva fatica ad attribuirsi visto il lungo periodo in cui non l’aveva più utilizzata.
Marion stranamente comprese; “No, è solo che non pensavo che gli ingranaggi parlassero. In questo luogo, tanti anni addietro, ci lavorava il mio papà”.
“Cara, io sono qui ormai da un tempo incalcolabile e non sai quante volte le cose sono cambiate in questo posto. Ultimamente c’è anche stato un terribile terremoto. In questo luogo ormai regna il terrore e tutti lavorano senza sosta e non credo ci sia rimasto qualcuno simile al tuo papà. Io non avendo le mani sono impedito, ma se vuoi dare un giro di volta a questo triste luogo, puoi tirare via tutti quei drappi neri che oscurano le finestre. Ormai non hanno più ragion d’essere”. Sentenziò.
“Non sarà pericoloso?” Domandò Marion.
“No piccola. Non metterei mai in pericolo una creatura tanto graziosa”.
Così Marion si fece coraggio e con l’aiuto di un lungo ramoscello rimosse tutti i teli della struttura. Ci mise diverso tempo ma il risultato fu formidabile.
Dopo centinaia di anni la luce finalmente penetrava copiosa, illuminando il processo produttivo insieme a delle architetture ormai ancestrali.
Fu proprio grazie a quel miracolo che tutte le macchine si riconciliarono. Le creature del secondo livello finalmente raggiunsero il suolo mentre i raggi solari entravano come baionette nelle vetrate ormai spoglie. La sorpresa fu corale.
Rail finalmente raggiunse senza timore la sua metà, per poi tornare da Marion per regalarle il prodotto finito!
Si trattava di un complesso marchingegno simile ad un astrolabio. Marion ringraziò soddisfatta e fece sparire l’oggetto nel suo zaino, per poi allontanarsi soddisfatta.
Fu grazie a quella specie di astrolabio che ritrovò la felicità perduta e in seguito riuscì a districarsi nelle vicissitudini dell’esistenza.
All’interno dell’edificio un nuovo ordine produttivo era stato ristabilito, il fumo che fuoriusciva dalle ciminiere era meno copioso e puzzolente. L’erba aveva ricominciato a crescere rigogliosa e tutti partecipavano secondo le loro potenzialità, con un nuovo spirito, alla creazione di quegli oggetti portentosi.
La statua del Cristo, in seguito alle indicazioni di Rail venne riesumata, ripulita dalle muffe e piazzata al centro dell’edificio.
