SARS Cov 2: l’importanza delle misure di protezione individuale e della rete di monitoraggio territoriale.

Intervista al prof. Franco Cavallo

professor cavallo

Con molto piacere, oggi vorrei presentarvi il Professor Franco Cavallo, epidemiologo e professore emerito di Sanità Pubblica ed Epidemiologia all’Università di Torino. Attraverso la sua notevole esperienza, parleremo di SARS Cov 2.

In base alla sua esperienza da epidemiologo, quando è scoppiata l’epidemia in Cina sul finire del 2019, si aspettava un coinvolgimento mondiale della pandemia?

Guardi le dirò una cosa molto banale ma abbastanza significativa, quando è scoppiata l’epidemia in Cina mi trovavo con una mia collega proprio a discutere di questo problema ed in realtà tutti e due ci chiedevamo non “se” ma “quando” sarebbe arrivata anche da noi. Quindi, che questa sarebbe stata l’evoluzione naturale di questa epipandemia, sembrava abbastanza scontato.

Secondo lei qual è stato e quale sarà l’impatto di questa epidemia sulla salute pubblica?

Questo è difficile dirlo perché forse potremmo fare un bilancio complessivo del significato di questa epidemia e degli effetti quando la potremo considerare effettivamente terminata, quando avremo imparato a curarla efficacemente o avremo imparato a prevenirla completamente. 

Parlare di salute pubblica poi può voler dire cose molto diverse, può voler dire parlare semplicemente di salute in senso stretto, di benessere in senso più lato, di salute anche dal punto di vista economico, quindi è complesso come bilancio e senza dubbio si potrà fare tra un po’ di tempo.

Paragonerebbe questa infezione di SARS Cov 2 alle famose epidemie che la storia ancora ricorda, come la Spagnola del 1919? Quali sono gli aspetti comuni e quali quelli che le distinguono?

L’elemento comune è senza dubbio il fatto che questo virus, che è comparso improvvisamente nella specie umana, ha trovato tutti suscettibili, quindi non avendo trovato un’immunità di nessun genere ha potuto espandersi senza nessun freno. Chiaramente ai tempi della Spagnola si sapeva anche molto meno sui rischi, sulla diffusione e sulle possibilità e quindi è stata una pandemia disastrosa che è durata per un paio d’anni e che ha causato 18 milioni di morti, cosa che forse non sarebbe successa allo stesso modo oggi ma credo che ci saremmo andati molto vicino. 

Chiaramente le diversità stanno nei diversi sistemi di allerta che noi abbiamo e grazie al cielo anche ai diversi sistemi di cura di cui possiamo disporre. Quindi, in questo caso, anche se la mortalità è stata piuttosto elevata, siamo stati in grado anche di combatterla abbastanza efficacemente.

Secondo lei sono state prese le misure adeguate in Italia per il contenimento e la gestione della pandemia? Quali provvedimenti secondo lei avremmo potuto prendere per gestirla meglio?

Questo è un discorso molto complesso. Nella fase iniziale, senza dubbio da un punto di vista generale, se uno riflette su quali sono e su quali avrebbero dovuto essere gli strumenti per gestire un fenomeno pandemico di questo genere, dove la malattia si diffonde per via aerea, un po’ come in tutte le pandemie in realtà,  il punto di aggressione fondamentale avrebbe dovuto essere la rete di diffusione alla comunità, quindi avremmo dovuto essere attrezzati a gestire la diffusione sul territorio, nelle comunità ed attraverso la rete dei medici di medicina generale. 

Prendiamo ad esempio una delle regioni più colpite, la Lombardia, dove in realtà il sistema sanitario senza dubbio è eccellente, ma comunque basato sostanzialmente sulla rete ospedaliera. Affrontando questa epidemia solamente a livello ospedaliero e non sul territorio era facilmente prevedibile che si sarebbero creati dei disastri e delle impossibilità a gestire l’epidemia. 

Inoltre come dicevo prima, la previsione sul fatto che l’epidemia sarebbe arrivata anche in Europa non era un “se” ma un “quando” e quindi forse un po’ più d’allerta ed un po’ più di previsione avrebbero aiutato.  Purtroppo, come hanno spiegato anche altri prima di me, il nostro piano per il contenimento della pandemia a livello nazionale e soprattutto regionale stava nei cassetti e nessuno si è premurato di farlo diventare una cosa concreta nei giusti tempi.

Secondo lei cosa dovremo aspettarci ora, per quanto tempo ancora il SARS COV 2 sarà un pericolo per la popolazione e quando potremmo riprendere a vivere normalmente come prima?

Ora tutti quanti dicono che avremmo una ripresa dell’epidemia nel periodo autunnale, è possibile, è probabile, senza dubbio l’immunità che abbiamo acquisito è un’immunità che ha coinvolto una parte piuttosto limitata della popolazione, quindi la gran parte ne è ancora suscettibile. Credo però che gran parte di questa risposta la darà la capacità della popolazione di rispondere a questo problema e di fatto, passata la paura, passato l’affanno, quello che ci ha presi in questi primi mesi, se noi riflettiamo su come avviene il contagio capiamo che non è poi così difficile evitarlo. 

Perché, in realtà, molto di questo rischio di ripresa dell’epidemia è legato a come la gente capirà che questa diffusione può essere contrastata efficacemente, perché di fatto è una malattia che si trasmette per via aerea, ed in questo modo è molto contagiosa. Ma utilizzare la mascherina in modo opportuno, per evitare le situazioni a rischio per la diffusione per via aerea o per diminuire la probabilità di diffusione attraverso le gocce di saliva, e rispettare delle regole igieniche molto basilari e semplici, per evitare il contagio potenziale attraverso superfici o materiali attraverso le mani, potrebbe essere non dico completamente risolutivo ma molto importante per ridurre di gran lunga questa probabilità e possibilità di contagio. Quindi molto dipenderà da come sappiamo comportarci noi, oltre a quali risorse la comunità scientifica stabilirà di adottare.

Quindi dovremmo imparare a convivere con il Coronavirus senza avere paura, a differenza di questi mesi iniziali? 

Direi di sì, soprattutto imparare a convivere con delle abitudini che in questo momento ci sembrano incredibili. Anch’io anni fa, girando per il mondo e soprattutto negli aeroporti, guardavo quelli che giravano con la mascherina come fossero degli zombi, delle persone strane. Adesso invece dobbiamo renderci conto che in fondo è ben poca cosa, è ben poco danno abituarsi, per il periodo per cui sarà necessario, ad accorgimenti di questo genere.  Allo stesso tempo tuttavia dovrebbero darci l’autorizzazione per riprendere almeno, non dico tutte le libertà precedenti la prima fase, ma almeno delle possibilità che ci aiutino a vivere un quasi normalità in tempi molto brevi.

 

Secondo lei come inciderà questa pandemia sulla futura gestione della salute pubblica da parte del nostro sistema sanitario?

Come influirà è difficile dirlo, come vorrei che influisse questo invece glielo posso dire.

Vorrei che ci si rendesse conto che questo modo di vedere la medicina e lo sviluppo della medicina, soprattutto attraverso gli aspetti della tecnologia, dello sviluppo tecnologico, della medicina specialistica e di tutte queste cose, lasciasse un grande spazio alla presa di coscienza che i problemi si gestiscono soprattutto a livello della rete di monitoraggio territoriale.  E che quindi fosse ridata grande importanza alla funzione delle sentinelle che stanno sul territorio, che sono in primo luogo i medici di medicina generale collegati tra di loro e collegati con i sistemi di secondo livello in modo da funzionare in maniera sinergica e non di “saltare per aria” come è successo in questo caso.

 

Pensa che dovremmo aspettarci che altre epidemie analoghe possano diffondersi di nuovo in tempi brevi, oppure questo è stato un caso isolato, un evento che capita ogni cento anni?

Ogni quanto capitino non c’è nessuno che lo può prevedere, le posso dire una cosa molto banale e molto semplice dal mio punto di osservazione. Ricordo che quando parlavo, durante le mie lezioni all’università, ai master o agli eventi di questo genere, spesso mi chiedevano di parlare dei problemi della sanità pubblica presenti e futuri e di quali sarebbero state le grandi sfide della sanità pubblica. In genere concludevo questa lezione dicendo: “Ma quali sono le priorità della sanità pubblica per il futuro?”. Ci sono priorità percepite a livello più della comunità, la paura dell’immigrato, la paura del drogato, la sicurezza e la microcriminalità, e dei problemi invece di ben più ampia portata, di cui invece, chi si occupa di strategie e di visione per il futuro dovrebbe tenere conto nel presente, tra cui il cambiamento climatico e le pandemie che senza dubbio sono un rischio di cui tutti noi dovremmo essere coscienti e di cui avremmo dovuto essere coscienti da almeno 15/20 anni. Soprattutto dopo che è apparsa la SARS, che è stata il primo campanello di allarme delle nuove malattie infettive da cui avremmo dovuto guardarci. Purtroppo c’è stata una mancanza di previsione per un fenomeno che era assolutamente prevedibile e probabilmente nel futuro ci coinvolgerà ancora, tra 10, 20 o 100 anni, questo non lo sappiamo.

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