Dei capi…e del disagio.

Oggi voglio dedicare questo cantuccio caldo, come lo chiamava Manzoni, a chi ha e ha avuto la sventura di avere me come sottoposto nel mondo del lavoro.

Parlo, signore e signori, dei miei “capi”!

Parlo di quei “poracci” che in un modo o nell’altro mi hanno trovata nella loro esistenza come “subordinata” e hanno avuto l’ingrato compito di dirmi cosa dovevo fare, come dovevo farlo e quando.

Ecco, più che il primo Maggio dovrei dedicar loro il primo Novembre. Sono stata e sarò sempre un dito nell’occhio per tutti quanti.

A loro voglio rivolgere il mio pensiero del venerdì, un atto di penitenza, autocritica e di gratitudine allo stesso tempo.

Quando hai una mente iperattiva in un corpo depresso, sei incapace di mantenere motivazione per più di qualche giorno e sei profondamente inetto di fronte al concetto di disciplina.

Peggio ancora se hai vent’anni, hai una natura ribelle e tutto quello che guadagni lo spendi viaggiando da sola per la penisola a capire problemi di salute che nessuno vede e diagnostica.

Ammetto che per molto tempo ho marciato nel mondo del lavoro inconsapevole di quanto tutto questo influisse sul mio modo di affrontare le cose, rendendo la mia vita e quella degli altri una guerriglia.

Ma dopo tutti i milioni spesi in psicoterapia e dopo aver frantumato la “pazienza” di tante persone, sono arrivata quanto meno ad individuare quegli aspetti totalmente ingestibili (tipo il carattere e un’intera personalità) e a correre ai ripari prima di far diventare la vita difficile a tutti.

Adesso lo so che sono ostile ai compromessi, agli ordini impartiti e che devo dire per forza la mia senza mitigare minimamente il pensiero. Lo so. E per questo ci sono decine di persone su Whatsapp preposte al compito di disciplinarmi.

Prima ero proprio un ordigno inesploso con fior fiore di direttori che camminavano sul mio terreno minato inconsapevoli di dove stessero mettendo i piedi.

A proposito di direttori, di capi che ho lasciato senza parole, oggi ho risentito un po’ tutti i miei colleghi per preparare il post psicologicamente. Cioè, procrastinare il più possibile. Finché non è stato ripescato in un gruppo l’episodio degli episodi, ancora negli annali della società. Che vi riporto.

Ad una cena di Natale, il super direttore, capo dei capi, nella consuetudine di attirare l’attenzione di tutti si mise a raccontare della parentesi vegana presa dalla moglie che, andata per la tangente, si era piantata dell’insalata sul balconcino. Ci raccontò che, ispirata da altre persone che facevano la medesima cosa, una mattina lui l’aveva sorpresa carponi a brucare. Così, tra il serio e il faceto, con un sorrisetto di autocompiacimento, ci disse “non sapevo cosa pensare”.
Prima ancora di calcolare che ero in periodo di prova, che eravamo in mezzo a colleghi che non mi conoscevano e che c’era il mondo di tutti i suoi sottoposti, mi uscii spontaneo:
“Deve averti sicuramente frainteso quando le avevi chiesto di fare la pecora!”

Per giorni, in ufficio, mi strinsero la mano per questa uscita.
Passai anche il periodo di prova.
Ma non mi riuscii mai di capire se il direttore avesse apprezzato davvero. Chi può dirlo!

Vi lascio, dunque, con questa tipica espressione di autentico disagio Natico.

Auguro a tutti voi di avere un lavoro, prima o poi; di avere un lavoro che vi piace o vi piacerà e di avere dei capi meravigliosi così come li ho e li ho avuti io (senza davvero ipocrisie di sorta).

Buon primomaggio a tutti!

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