Cibo e cervello: 130 millisecondi sono sufficienti a distinguere una pietanza cruda da una cotta

Cosa capita quando vediamo un piatto di cibo? Come riconosciamo se la pietanza è cruda o cotta, se si tratta di un piatto industriale o più “biologico” ? E quali sensazioni associamo al cibo?

Da anni diversi studiosi si dedicano ad approfondire il complesso legame, forse ancestrale, che c’è tra psiche e cibo. L’obiettivo di questi studi è arrivare a capire quali aree del cervello entrano in gioco nel riconoscimento puramente visivo di un cibo (prima dell’assaggio per intenderci) per aiutare le persone che soffrono di disturbi alimentari, come anoressia e bulimia ma non solo.

Il mondo delle patologie alimentari è vasto e variegato, spesse volte il punto di partenza non è necessariamente il cibo, come nella maggior parte delle depressioni, ma finisce inevitabilmente per rimanerne coinvolto, pensiamo anche a molte malattie neurodegenerative in cui il rapporto con il cibo cambia.

Secondo la Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare, infatti, i disturbi legati al cibo colpiscono in Italia il 10% degli adolescenti.

La Professoressa Raffaella Rumiati, della SISSA di Trieste è intervenuta al congresso «Cibo per il cervello: promuovere la salute e prevenire le malattie», una tre giorni organizzata da NeuroMI Università degli Studi di Milano – Bicocca sul legame tra cibo e salute e ha dichiarato che il nostro cervello impiega solo 130 millisecondi ad attribuire ad un cibo le qualità prese in esame, ossia alimento crudo e alimento processato ma che ci sono differenze tra i giovani e gli anziani nel processo di riconoscimento.

I più anziani hanno vissuto in un epoca in cui gli alimenti erano più naturali per così dire, meno processati e lavorati dall’industria per cui ne hanno memorizzato colore, aspetto e odore, quindi si trovano avvantaggiati nel riconoscere un cibo naturale da uno industriale, mentre i più giovani sono più bravi a distinguere il cibo crudo da quello cotto.

In questi studi vengono utilizzate le moderne tecniche di imaging attraverso cui il team della Prof.ssa Rumiati ha scoperto una cosa importante: i circuiti cerebrali coinvolti nel riconoscimento dei fattori “crudo” e “processato” sono differenti e separati.

Per fare un esempio concreto nell’osservare una ciliegia e nell’attribuirgli una serie di caratteristiche il nostro cervello attiva l’area occipitale laterale mentre per un risotto attiviamo la parte temporale mediale.

Le emozioni sono strettamente collegate al cibo e viceversa, le scienze cognitive ci insegnano che alcune caratteristiche personali psicologiche influenzano il modo di alimentarsi, questo potrebbe essere di grande supporto e presupporre un processo inverso dove attraverso l’educazione alimentare si possa influenzare positivamente i nostri comportamenti e la nostra mente.

 

Fonte: La Stampa Salute

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